NEWS/ARTICOLO

24/06/2019

Quelle emozioni dentro al carcere

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di Ornella Favero* e Nicola Boscoletto**

La Repubblica, 24 giugno 2019

Caro direttore, abbiamo partecipato a Roma, alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alla proiezione del docu-film che racconta il viaggio nelle carceri della Corte costituzionale. A questo evento siamo stati invitati in quanto espressione del volontariato e delle cooperative sociali che operano in carcere e nell’area penale esterna da quasi trent’anni.
Questo nostro ruolo lo sottolineiamo perché all’inizio ci ha fatto pensare proprio l’assenza del volontariato e del privato sociale da questo viaggio: generalmente, quando fai un viaggio di conoscenza di una realtà nuova, cerchi infatti di farti accompagnare da tutti coloro che quella realtà la conoscono davvero per poterla esplorare in tutte le sue diverse facce.
Abbiamo poi riflettuto che quel viaggio è stato soprattutto di incontri e di emozioni: noi possiamo offrire e condividere invece la nostra conoscenza profonda del carcere, perché siamo quei pezzi di società che entrano dentro per costruire percorsi di responsabilizzazione e per accompagnare le persone a rientrare nel mondo libero, e non certo per lasciarle “marcire in galera”.
E sappiamo bene che il carcere oggi vive per lo più nella illegalità, disattendendo il dettato costituzionale. Pensare di educare alla legalità, al rispetto reciproco con modalità illegali e irrispettose delle regole e delle persone è una pura illusione. Quei giudici però hanno dimostrato grande coraggio nell’affrontare questo tema della galera “sporcandosi le mani” e “mettendoci la faccia”.
Vedendo quelle carceri così poco rispettose della Costituzione viene da dire però: dove sono la politica e l’amministrazione penitenziaria, che spesso subiscono passivamente, quando va bene, se non addirittura ostacolano ogni tentativo di rendere un po’ più umano, e perciò più legale, il carcere? Gli esempi di cose che non funzionano, cioè illegali, disumane e degradanti sono un’infinità. Come pure è importante sottolineare che le cose non è che non funzionano da un giorno, o da un anno, nessuno si può chiamar fuori da questo fallimento.
Occorre però partire da tutto ciò che di buono c’è, salvarlo e moltiplicarlo da una parte, e dall’altra eliminare, o se possibile curare, tutto ciò che non funziona. Se invece di essere 7 su 10 i detenuti che finita la pena escono peggiori di come sono entrati, fossero 7 malati su 10 che escono dagli ospedali mal curati le cose sarebbero affrontate in maniera diversa.
Negli ospedali la colpa sarebbe ricercata nelle carenze relative alla struttura ed al personale, nelle carceri la colpa è sempre della persona detenuta, non di chi è pagato per “guarirla”. Che oggi l’intera Corte Costituzionale intervenga direttamente ed in maniera così autorevole, testimonia la gravità della situazione e la forte volontà di portare alla luce del sole un tema che di sicuro non dà alcun tipo di popolarità e di “guadagno”.
Se ribadiamo con forza che il sistema di gestione delle carceri ha fallito è anche perché in carcere ci sono più di 22 mila persone con meno di tre anni di pena, e perché la recidiva reale di chi esce rimane altissima (70 % e più).
Sicuramente ci sono nell’amministrazione moltissime persone che fanno o che cercano di fare bene il loro mestiere affrontando ogni giorno le perenni emergenze della vita detentiva, ma per guarire un malato, per risolvere un problema bisogna prima di tutto capire che cosa c’è che non va e dove stanno le responsabilità. E nel frattempo puntare su tutto ciò che funziona.
Invece molto spesso succede il contrario, e cioè che si combatte proprio ciò che funziona, rendendo la vita difficile a tutti quelli che si impegnano veramente, con grande dedizione e spirito innovativo, alla soluzione dei problemi. Siamo tutti abituati, giustamente, a chiedere, a pretendere che le persone che hanno fatto del male si assumano la responsabilità dei loro gesti e scontino una pena significativa (bisognerebbe però ritornare a parlare di pene e non solo di carcere), ma il nostro desiderio rispetto al viaggio della Corte costituzionale è che questa iniziativa possa richiamare con forza tutti quelli che si occupano delle carceri alla propria responsabilità, a partire dall’amministrazione penitenziaria, la magistratura, ma anche il volontariato e il privato sociale, che, è meglio ricordarlo, in carcere non sono ospiti, ma entrano con quell’articolo 17 dell’ordinamento penitenziario che pone al centro la partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa.
Cioè proprio a quella funzione della pena che la Costituzione esalta e valorizza. Tutti siamo invitati, da questa testimonianza dei giudici costituzionali ad essere un po’ meno autoreferenziali, a non difendere per principio il proprio orto. Qui l’orto è di tutti.
*Presidente della Conferenza nazionale Volontariato Giustizia
**Presidente cooperativa sociale Giotto





 

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