COMUNICATO STAMPA

invia a...

15/11/2010

Ad Ancona in pochi mesi tre detenuti perdono la vita: mantenere alta l’attenzione sulle morti in carcere è un dovere a cui nessuno può sottrarsi

Come donna e come madre so che perdere un figlio è una ferita che, se riesci a vivere, non si rimargina più. Ma perdere un figlio di 22 anni e venirne a conoscenza solo attraverso la telefonata di un avvocato che ti fa le condoglianze, perché nessuno ti ha avvisato, è un trauma terribile.
La madre di Alberto, che si recava in carcere per un colloquio, è venuta a conoscenza proprio in questo modo della tragica morte del figlio, entrato sano in carcere lo scorso luglio per reati legati alla sua tossicodipendenza e morto in carcere improvvisamente il 22 ottobre. Il decesso, secondo i primi rilievi, è imputabile ad arresto cardiocircolatorio. E’ la terza morte nel giro di pochi mesi nel penitenziario di Montacuto di Ancona, dopo quelle di un marocchino di 27 anni a maggio e di un tunisino di 26 a settembre.
Secondo il consigliere nazionale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) Aldo Di Giacomo “quello di Ancona si sta rivelando un carcere da terzo mondo per sovraffollamento: a Montacuto ci sono 410 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 168, gli agenti dovrebbero essere 198 e invece ce ne sono 121. Una situazione veramente critica che denunciamo da tempo: il rapporto tra il sovraffollamento e gli eventi critici c’è, eccome”.
Anche la Polizia Penitenziaria paga a caro prezzo le condizioni di crescente disagio e affollamento delle carceri italiane: 3 agenti si sono uccisi nel 2010 e 6 nel 2009.
Le celle delle carceri si stanno restringendo fino all’implosione, una di quelle emergenze scomode più facili da ignorare che risolvere. Tra le budella di queste voragini ci si smarrisce fino a morirne: 56 i suicidi nel 2010, 141 i morti dall’inizio dell’anno.
Sono numeri drammatici che dimostrano meglio di tante parole la difficile situazione che si vive nelle carceri italiane dove morire sembra essere l’unica soluzione, soprattutto se si è spaventati, ci si sente soli ed abbandonati.
Certo annullare il rischio di suicidio tra i detenuti è impossibile ma è fattibile una prevenzione basata semplicemente sul miglioramento della 'qualità della detenzione'. Non servono né nuove carceri né nuove leggi: l'Ordinamento penitenziario, scritto 35 anni fa, prevede che un detenuto debba rimanere in cella soltanto la notte (le celle, infatti, sono chiamate 'camere di pernottamento'). Durante la giornata dovrebbe poter lavorare, studiare, fare attività fisica. Per mancanza di spazi, di soldi e di personale, la legge non viene rispettata e, tranne in alcuni Istituti (ricordiamo Bollate, ma anche Padova e Trieste), i detenuti trascorrono 20 - 22 ore al giorno chiusi in una cella, spesso sovraffollata, dove è possibile soltanto stare in branda ad aspettare che il tempo passi, che passino i giorni, i mesi e gli anni.
Come non impazzire? Come non pensare al suicidio come unica forma di 'fuga' possibile da una pena (e da una vita) svuotata di significati e di aspettative?
Dare ai detenuti la possibilità di lavorare, di istruirsi e mantenersi sani nel corpo e nella mente, è la premessa necessaria perché il 'recupero' alla vita civile possa avvenire. La società sarebbe più sicura e "loro" morirebbero di meno.
Questi discorsi in genere non sono ben accetti all’opinione pubblica: la "società civile" sta accettando supinamente, o addirittura approvando in modo strisciante, il giro di vite che negli ultimi anni si è voluto dare al sistema carcerario italiano. Il clima di insicurezza e di precarietà in cui viviamo, in gran parte alimentato ad arte dai media, ci fa sembrare che il semplice e rigido isolamento di chi ha sbagliato sia un prezzo accettabile (o addirittura necessario) per ottenere maggiore sicurezza. Che poi questa riduzione dei diritti dei detenuti concretizzi davvero una maggiore sicurezza resta tutto da dimostrare.
Ogni giorno in Italia escono dal carcere circa 1000 detenuti, se il 70% di essi rientra nel giro di pochi mesi, (è il tasso di recidiva di chi non ha fatto alcun percorso in carcere) ciò vuol dire che ogni giorno circa 700 probabili delinquenti escono per fine pena.
Ci sentiamo più tranquilli? Forse vale la pena investire sulle politiche sociali o avere il coraggio di dire ammazziamoli tutti .. ma attenzione … prima o poi potrebbe toccare anche a uno di noi! Leggi la cronaca … i delitti intra familiari superano quelli della criminalità organizzata!

Daniela Marchili
Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Marche
 

Oggi: 20/04/2024
Risoluzione ottimizzata 1024 x 768
Realizzato da
Roberto La Barbera