NEWS/ARTICOLO

18/02/2018

Pene e carceri: quel mondo che si è fermato a più di quarant’anni fa

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di Ornella Favero*

L’articolo 1 del nuovo Ordinamento penitenziario, se il Governo nei prossimi giorni ce la farà ad approvarlo, afferma con forza che il percorso rieducativo “tende, prioritariamente attraverso i contatti con l’ambiente esterno e l’accesso alle misure alternative alla detenzione, al reinserimento sociale”.
I contatti con l’ambiente esterno e l’accesso alle misure di comunità, come si chiamano oggi, sono i temi più cari al Volontariato, quelli che “aprendo” le carceri alla società e poi facilitando il rientro nella società stessa delle persone detenute, danno un senso a tutto il nostro lavoro di volontari. E vogliamo allora partire da questo, che potrebbe essere un nuovo inizio per la realtà delle pene e del carcere, per unirci ancora una volta a tutti quelli che chiedono con forza l’approvazione dei decreti attuativi dell’Ordinamento penitenziario, e sperano che accada il miracolo che vengano approvati tutti, anche i decreti mancanti, in tema di lavoro, affettività, ordinamento penitenziario minorile, misure di sicurezza e giustizia riparativa.
Questa è una battaglia particolarmente importante in un momento in cui la spinta a chiedere pene cattive e carceri dove le persone “marciscano fino all’ultimo giorno” è davvero forte, una battaglia condotta con coraggio dal Partito radicale e da Rita Bernardini, da tante persone detenute e tante famiglie, sostenuta dagli avvocati penalisti e da numerosi giuristi, intellettuali e accademici, voluta dal Volontariato che ogni giorno dentro le carceri e sul territorio combatte per pene più umane e più dignitose.
Ci sarebbe piaciuto che nessuno fosse escluso dalla speranza, un giorno, di intravedere dopo anni di carcere una vita diversa, per sé e per la sua famiglia, ci sarebbe piaciuto che quello che il Papa dice delle pene senza speranza, che sono pene disumane, fosse accettato da tutti, ma non viviamo nel mondo dei sogni e sappiamo fare i conti con una realtà, nella quale le paure dei cittadini e la debolezza della Politica, schiava di queste paure, pesano enormemente sulle scelte che hanno a che fare con la sicurezza.
Questi decreti qualcuno lo escludono, i “cattivi per sempre”, quelli che sono condannati a morire in carcere senza uno spiraglio di speranza, perché così ha voluto la delega del Parlamento, ma comunque rendono i percorsi di reinserimento nella società un po’ meno accidentati, un po’ più sensati. Noi che conosciamo da tanti anni le carceri, chi ci vive dentro, chi è a rischio di finirci, vorremmo dire ai cittadini che questi percorsi sono anche gli unici che garantiscono più sicurezza: perché una persona che sconta gran parte della pena in galera, quando esce rischia di trovare solo un deserto di opportunità e di relazioni. È questo che vogliamo, persone sole e incattivite, è questo che immaginiamo che ci renda più sicuri?
C’è una notizia di questi giorni che dimostra quanto sono strumentali certi attacchi di partiti politici ai nuovi decreti: si dice che solo in Italia le pene non sono mai certe, solo in Italia “si esce subito” dalla galera, solo in Italia si vuole ulteriormente accelerare questa uscita. Tanti giornali hanno riportato la storia di Federica S., ammazzata brutalmente, a 23 anni, ricordando che ora, a dieci anni da quel delitto, il suo assassino potrebbe tornare “in libertà”. Per l’omicidio di Federica è stato condannato a 17 anni e nove mesi di carcere un barista uruguayano di 39 anni, clandestino. Per commentare questa notizia in Italia si sta usando tutto l’armamentario della cattiva Informazione e della cattiva Politica. Quello che ci si dimentica spesso di dire è che l’omicidio, la condanna, la carcerazione del colpevole, tutto ciò è avvenuto in Spagna; che la pena è stata contenuta e non crudele, perché in Spagna hanno capito che uno Stato non può essere crudele come sanno essere certi esseri umani; che per la legge spagnola sono consentiti permessi premio dopo aver scontato due terzi della pena, e che quella persona, se uscirà, non sarà libera ma avrà magari un piccolo permesso di qualche ora. Ci sono reati orribili, nessuno lo può negare, ma rispondere al male con una uguale quantità di male non farà giustizia, non farà star bene chi ha sofferto, non renderà la nostra vita più civile.
La Spagna in passato è arrivata più tardi di noi a fare una legge penitenziaria decente, ma ha saputo cambiare il sistema carcerario e far capire ai suoi cittadini che tanta galera non ci renderà mai più sicuri.
La nostra legge penitenziaria per molti aspetti è vecchia, non parla mai di diritti e di doveri, sempre di “benefici”, è stata scritta quando il nostro Paese, e le nostre carceri, erano diversi e ha spesso ancora un’idea della pena carceraria come esercizio di obbedienza. Ma le persone con problemi di giustizia e le persone detenute hanno bisogno di crescere, di cambiare, di assumersi delle responsabilità, e i nuovi decreti vanno in questa direzione, di pensare a delle pene che responsabilizzano, e non che incattiviscono.
Al Ministro allora diciamo grazie di aver lavorato in questa direzione, a partire dalla grande esperienza degli Stati generali dell’esecuzione penale, e chiediamo in questi convulsi giorni preelettorali di impegnarsi con tutta la forza possibile per non veder naufragare in dirittura d’arrivo la riforma.
*Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia





 

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