NEWS/ARTICOLO

28/11/2016

Chi ha paura di un carcere umano?

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di Alessandro Pedrotti* e Ornella Favero**

In questi giorni in tutta Italia i volontari della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia entrano negli istituti scolastici con il progetto A scuola di libertà, un progetto che intende far conoscere il mondo del carcere e delle pene ai ragazzi e intende farli riflettere su come si possa scivolare da comportamenti a rischio a reati. Sono circa quindicimila gli studenti che hanno occasione di partecipare ogni anno alla nostra manifestazione.
Come è noto nella nostra Costituzione non si parla mai di carcere ma di pene, e all'art 27 si cita "le pene devono tendere alla rieducazione". Anche l'uso del carcere, che dovrebbe davvero essere extrema ratio, dovrebbe avere comunque questa funzione rieducativa. Ci troviamo spesso a dover commentare situazioni in cui i più elementari principi giuridici non sono rispettati.
È bene ricordare che il nostro paese nel 2013 è stato condannato dalla C.E.D.U. per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione, cioè per trattamento "disumano e degradante". Il nostro Paese è un sorvegliato speciale dalle istituzioni europee in tema di giustizia, perché spesso all'interno delle proprie carceri non rispetta non solo le norme europee ma neppure le stesse norme italiane, in primis la Costituzione.
Ci sono carceri dove, pur nella difficoltà di spazi e risorse, alcuni direttori cercano di lavorare nel rispetto delle norme, costituzionali ed europee, applicando principi che Lucia Castellano, oggi dirigente generale del Dipartimento della Giustizia minorile e di Comunità, ma per anni direttrice della Casa di Reclusione di Bollate, afferma nel libro Diritti e castighi: "riconoscere al detenuto tutta la libertà possibile compatibile con la presenza delle mura di cinta". Succede che a volte direttori che si impegnano in questa operazione difficile, di garantire il rispetto delle norme e il rispetto delle persone che a vario titolo gravitano nel carcere, città nella città, vengano in qualche maniera presi di mira perché accusati di non difendere una o più categorie. A Bolzano in questi giorni la Direttrice Anna Rita Nuzzaci è messa sotto accusa da alcuni sindacati di Polizia penitenziaria proprio per questa sua propensione al dialogo e all'apertura. Nel dettaglio le si contesta:
- di avere una politica dei permessi facili
- di permettere corsi serali a celle aperte con utilizzo anche di coltelli (negli articoli di giornale non si spiega che sono corsi formativi di commis di cucina tenuti da regolari docenti degli Istituti professionali - da cui l'uso anche di coltelli).
Anna Rita Nuzzaci non è la prima e non sarà certo l'ultima dirigente che in qualche modo rischia di pagare per una visione delle pena, che è quella che la Carta costituzionali e le norme, sia italiane che europee, ci indicano e ci chiamano a rispettare. Una contraddizione di cui molti direttori prima di lei hanno già fatto le spese, promossi per essere rimossi, o semplicemente non salvati da attacchi continui anche a mezzo stampa.
Su questo caso vogliamo prendere una posizione chiara. Una delle associazioni aderenti alla Conferenza è il servizio Odòs della Caritas altoatesina, che si occupa di accompagnare ed accogliere sia le persone in permesso premio che quelle in misura alternativa. Centinaia sono le persone che in questi anni hanno potuto usufruire di misure alternative e di permessi premio. Sono più di cento le giornate di permessi premio nel solo anno in corso, permessi che vengono svolti o nella Casa di accoglienza o nell'appartamento dell'affettività o permessi ad ore con l'accompagnamento di volontari.
Qualche evento critico in questi anni è stato registrato, perché quando si opera seriamente in settori così difficili, è inevitabile che ci siano anche delle criticità, ma statisticamente siano a meno del 4%. È bene ricordare poi che i permessi premio non vengono "concessi" dalla direttrice, ma prevedono molti passaggi formali e giuridici e che poi è il Giudice di sorveglianza che ne dispone o meno la fruibilità, seguendo quelle che sono le indicazioni degli operatori penitenziari, funzionari giuridici pedagogici, comandante e direttrice. I permessi premio abbattono la conflittualità all'interno del carcere e in particolare gli eventi di autolesionismo, permettono di mantenere i legami famigliari e aiutano a pensare in maniera progettuale al proprio futuro. Bolzano è una casa circondariale, i detenuti che vi sono reclusi non hanno lunghe pene da scontare, sono tutti in prossimità del fine pena, è quindi importante che le persone possano rientrare gradualmente nella società, e il primo passo di questo rientro graduale è svolto attraverso i permessi.
È bene ricordare che la sicurezza non si crea escludendo le persone ma lavorando con loro perché il passaggio dal carcere alla società possa essere accompagnato, le statistiche in questo senso dimostrano proprio che è con questo sistema che si abbatte la recidiva, cioè si riduce enormemente il rischio che le persone uscite dal carcere ricommettano reati. Qualche giorno fa i responsabile dei vertici della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia erano a Roma impegnati in diversi colloqui con i due capidipartimento, quello dell'Amministrazione penitenziaria e quello della Giustizia minorile e di Comunità.
Le scelte che la direttrice Nuzzaci ha adottato, in materia di permessi, in materia di apertura (delle celle, delle ore d'aria, della fruibilità degli spazi e delle offerte formative e delle attività di volontariato) vanno nella direzione di applicare le norme esistenti. Pensare ad un carcere che alle 14 chiude le attività formative e ricreative è fuori dal tempo, è dannoso per i detenuti, per la sicurezza stessa degli agenti e per la sicurezza delle popolazione che a breve vedrà quegli stessi detenuti scarcerati perché al fine pena.
A breve la Provincia di Bolzano si doterà di un nuovo carcere, un carcere che dovrebbe nelle intenzioni far propri tutti questi principi e proporre una qualità della vita detentiva nuova e percorsi di reinserimento avanzati, in sinergia con il mondo dell'imprenditoria e con gli organismi di volontariato. Un carcere che possa davvero ridurre la recidiva e quindi creare maggiore sicurezza. Un carcere che metta al centro la persona detenuta e i suoi bisogni e che resti comunque sempre extrema ratio, e non prima e unica risposta penale.
Un carcere finalmente rispettoso delle norme. È bene ricordare che "Tutte le persone private della libertà personale devono essere trattate nel rispetto dei diritti dell'uomo. Le persone private della libertà conservano tutti di diritti che non sono stati tolti loro secondo la legge con la loro condanna (...). Le restrizioni imposte alle persone private della libertà devono essere ridotte allo stretto necessario e devono essere proporzionate agli obiettivi legittimi per i quali sono state imposte..." (Regole penitenziare europee adottate dal Consiglio dei Ministri del Consiglio d'Europa 11 gennaio 2006).
Ci sembra che la direttrice, pur nella ristrettezza e precarietà degli spazi che l'attuale Casa Circondariale offre, stia tentando di applicare norme che vanno in questa direzione. Siamo certi che il rinnovamento che con questo ministro sta avvenendo e che speriamo proseguirà con forza nei prossimi anni, quando vi saranno nuove norme che recepiranno anche l'esito degli Stati generali dell'esecuzione penale che si sono conclusi qualche mese fa, vedrà anche il personale delle Polizia penitenziaria impegnarsi nella stessa direzione. Quella Polizia penitenziaria che spesso per prima segnala a volontari e operatori casi di carcerati a cui prestare attenzione.
Ritorniamo allora alla domanda iniziale: chi ha paura di un carcere umano, o meglio, a chi giova un carcere che non lo sia davvero?

*Alessandro Pedrotti, Vicepresidente C.N.V.G.
**Ornella Favero, Presidente C.N.V.G.





 

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