COMUNICATO STAMPA

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01/09/2010

Marche

Una cella in piazza


Ore 20,30 di venerdì 20 agosto. I cittadini di Ancona, abbastanza incuriositi, assistono alla costruzione di una strana “casina”, come la chiamano i bambini presenti. Si tratta di un prototipo di cella costruito dai detenuti di Verona e gentilmente concesso alla CRVG delle Marche che, in collaborazione con la Caritas di Ancona- Osimo e il comitato carcere e territorio del comune di Ancona, si è fatta promotrice dell’iniziativa. Per 3 giorni da venerdì 21 a lunedì 23 gli anconetani, i turisti di passaggio, i croceristi hanno potuto visitarla e lasciare le loro impressioni su un quaderno appositamente predisposto. Parlare di carcere non è facile perché subito si alzano le barricate : l’opinione pubblica, condizionata dalle notizie di cronaca nera con cui quotidianamente i mass media ci bersagliano, è abbastanza restia a parlare di diritti umani e di rieducazione per chi ha sbagliato; la sicurezza , nell’immaginario collettivo, coincide con la carcerazione e con il pugno duro e chi propone alternative e si batte per un carcere diverso è percepito quasi come nemico pubblico, è un buonista e opera al di fuori di ogni logica.
Quindi la nostra iniziativa aveva un po’ il sapore di una sfida, voleva essere una provocazione per far conoscere, riflettere e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla drammatica situazione che si vive nelle carceri italiane e quindi anche nelle Marche come è stato ampiamente dimostrato dai numeri sciorinati in conferenza stampa dalla Dott. Manuela Ceresani del Dap e da Nicandro Silvestri del SAPPE sindacato della Polizia penitenziaria.
Chi si avvicinava incuriosito, per vedere da vicino quel mondo che teniamo ai margini perché racchiude il male che vorremmo così esorcizzare, rimaneva colpito dall’esiguità degli spazi, dagli stipetti in cui dovevano essere accatastati gli indumenti di quattro ma, con il sovraffollamento, anche di sei-otto persone, dal tavolino regolamentare su cui mangiare a turno, dal bagno-cucina in cella, insomma da una condizione che mette in crisi ogni norma igienica, che crea promiscuità tra varie tipologie di reato, che alimenta condizioni di vita che poco hanno di umano. Certo qualcuno ha dichiarato con forza che chi sbaglia deve pagare, che il carcere non può essere un albergo ma , visitando direttamente lo spazio in cui vivono, per 20 o anche 22 ore al giorno, per 365 giorni l’anno, gli oltre 68.000 detenuti rinchiusi nelle carceri italiane, è riuscito a percepire il senso di soffocamento, la dura realtà che si vive ogni giorno e a capire che la pena deve avere un senso altrimenti, come ha scritto qualcuno sul libro delle impressioni, tanto vale modificare l’art.27 della Costituzione e ammettere la tortura come forma di espiazione. I volontari da parte loro, facendo ricorso alla loro esperienza ormai decennale, sono stati il mezzo più idoneo per mettere in crisi, attraverso un dialogo sempre rispettoso delle opinioni altrui, la visione di un carcere punitivo e capace di generare sicurezza.
Grande eco ha avuto anche la testimonianza di una famiglia che ha vissuto in prima persona, per la prima volta, la realtà di un carcere e che, attentamente letta dai visitatori, li ha convinti che, nel novero delle vittime, vanno posti anche mogli, figli, genitori dei reclusi

“…gli errori dei figli li fanno pagare duramente anche a noi genitori“

Molti cittadini hanno così compreso che il carcere oggi è ridotto a contenitore di tutti i disagi sociali, dai tossicodipendenti, agli immigrati, ai malati fisici e psichici, che tutti non sono uguali di fronte alla legge, perché chi può permettersi un avvocato di grido è più tutelato di chi deve contentarsi dell’avvocato d’ufficio, che il carcere è solo un luogo di pena, non rieduca e non cambia anzi…. chi esce da questa esperienza è più “cattivo” e più pericoloso per la società. Tutti sono rimasti allibiti nell’apprendere che soggetti giovani, con alle spalle esperienze delinquenziali di non rilevante entità, finiscono per essere perfettamente assorbiti ed integrati nel circuito “normale” della devianza attraverso la commistione con soggetti più volte entrati ed usciti dal carcere. Molti hanno capito che lo scopo della pena deve essere quello di trasformare l’esperienza detentiva da possibile “università” del crimine a momento di riflessione e di crescita dal punto di vista umano e conseguentemente sociale.
Una applicazione sempre più ampia delle misure alternative alla detenzione permetterebbe di contenere tali fenomeni e di offrire percorsi di risocializzazione a migliaia di soggetti. Chi ha sbagliato deve pagare ma la pena deve avere un senso e un carcere diverso è possibile come dimostrano varie esperienze a livello nazionale.
Questa iniziativa oltre a sensibilizzare l’opinione pubblica voleva essere anche una richiesta rivolta ai parlamentari marchigiani e alle istituzioni per una nuova e diversa attenzione ai problemi delle carceri, dei detenuti e delle loro famiglie che vivono spesso tra rabbia e disperazione:
“ Venite adesso alla prigione
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un'altra volta
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
Per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
Qui non c’è più decoro le carceri d’oro
ma chi l’ha mai viste chissà
chiste so’ fatiscienti pe’ chisto i fetienti
se tengono l’immunità”
(“Nella mia ora di libertà” di F. De’Andrè)

Daniela Marchili
Presidente Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Marche
 

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